Allarme Confcommercio. Tra il 2012 e il 2022 in Italia sono sparite oltre 99.000 attività di commercio al dettaglio. Mentre alberghi, bar e ristoranti hanno fatto segnare una crescita di +10.275 unità. Nello stesso periodo, inoltre, secondo l’analisi realizzata dall’ufficio studi di Confcommercio, è salita la presenza straniera nel commercio, sia come numero di imprese (+44.000), sia come occupati (+107.000) e si sono ridotte le attività e gli occupati italiani (rispettivamente -138.000 e -148.000).
Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica sono risultate più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord.
E’ inoltre cambiato anche il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).
“La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%)”, spiegano gli analisti di Confcommercio secondo cui, per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non ci sarebbe altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. Fondamentale in questo contesto anche l’omnicanalità, cioè l’utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 miliardi nel 2015 a 48,1 milardi nel 2022. Elemento, questo, che ha contribuito maggiormente alla desertificazione commerciale ma che rimane comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.
“Tutte le attività considerate oggi ammontano a poco meno di 884mila unità che è la somma di dettaglio in sede fissa, ambulanti e alberghi e pubblici esercizi più le altre attività di commercio al di fuori dai negozi”, si legge nel documento di Confcommercio. “Tanto per il totale Italia quanto per le 120 città considerate, se è possibile affermare che il tessuto produttivo e commerciale abbia tenuto molto bene durante la pandemia e abbia attraversato con successo le più difficili fasi della crisi energetica, allo stesso tempo è necessario rimarcare la perdita di tessuto commerciale in sede fissa, con una riduzione del numero di punti di vendita attorno al 4% tra il 2019 e il 2022, valore che supera il 9% per gli ambulanti. Rispetto al 2012, le perdite oggi valgono quasi 100mila unità per il dettaglio in sede fissa, di cui un quarto circa nelle 120 città considerate”.
La crescita delle attività di alloggio e ristorazione non compensa, tuttavia, le riduzioni del commercio, ma modifica in misura rilevante le caratteristiche dell’offerta nelle città e nell’economia in generale.
Per quanto riguarda la ristorazione, i dati indicano una qualche forma di migrazione dal bar tradizionale al bar con somministrazione, per contrastare la crisi pandemica anche attraverso modificazioni del codice di attività. Non si deve escludere, però, un processo di razionalizzazione dell’offerta anche nel settore dei bar, soprattutto nel Centro-Nord: la riduzione della numerosità dei bar in questa macro-area non risulta compensata dalla crescita del numero di ristoranti.“La desertificazione commerciale non riguarda solo le imprese, ma la società nel suo complesso perché significa meno servizi, vivibilità e sicurezza. Occorre accelerare la riqualificazione urbana con un utilizzo più ampio e selettivo dei fondi europei del Pnrr e il coinvolgimento delle parti sociali”, commenta il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli.