Un cambio di rotta per dare risposta alla grande richiesta di riqualificazione urbana, che comprenda anche il miglioramento delle infrastrutture fisiche per i trasporti. Una nuova politica per la Casa che incentivi la costruzione e la compravendita di immobili ad alta efficienza energetica, coinvolgendo gli investitori privati e non pesando sul pubblico. Silvia Rovere, presidente di Confindustria Assoimmobiliare, traccia con Pambianco Real Estate un quadro della situazione esistente e indica la necessità e l’opportunità che gli investitori istituzionali possano intervenire sul patrimonio immobiliare complessivo, privato e pubblico, anche per favorire la riqualificazione energetica e la transizione ecologica.
“Innanzitutto va detto che a causa delle ‘non politiche per la casa’ degli ultimi dodici anni, i valori sono diminuiti. Con la pubblicazione dal 2010 dei dati Eurostat abbiamo potuto vedere che l’Italia e Grecia sono gli unici Paesi che hanno visto i valori delle case diminuire in questi 12 anni. Gli altri Paesi li hanno visti crescere, come la Francia che ha visto un incremento di circa il 35%, o la Germania di quasi il 100%, un raddoppio dei valori”.
Questo a cosa è dovuto?
“A due macro fattori: l’assenza di politiche per la casa ha fatto sì che ci siano stati investimenti molto modesti su tutto lo stock immobiliare residenziale del Paese. Questo si combina con il fatto che la grande propensione degli italiani alla proprietà della casa, che è una cosa positiva in sé, ha come corollario che, essendo la proprietà molto frazionata, non avvengono quelle ristrutturazione sistematiche che vengono realizzate invece all’estero con i proprietari di casa che poi affittano. In questo senso, il modello tedesco è molto significativo. L’altro elemento è che dal 2020 il Governo Monti ha di fatto raddoppiato l’Imu, che è passata da meno di 10 miliardi a 20 miliardi di euro. Sarebbe dovuto essere un incremento temporaneo, dovuto alle esigenze del momento che il Governo doveva affrontare. In realtà, quando si alzano le tasse, è poi difficile abbassarle e quindi questo enorme peso fiscale, le imposte sul reddito e l’Iva, ma in generale tutte le imposte che insistono sull’immobiliare hanno avuto un notevole impatto sulla discesa dei valori. Parliamo dunque di un patrimonio che è stato molto trascurato dalle politiche pubbliche, su cui poco hanno investito le famiglie italiane. Ci troviamo così a vedere oggi che il 77% delle case oggi (dato Enea) sono al di sotto della classe D, cioè nelle peggiori classi energetiche possibili (E-F-G). Un dato preoccupante, in vista della direttiva europea, che ha obiettivi di decarbonizzazione, ma in assoluto, perché vuole dire che viviamo in case con prestazioni energetiche molto carenti. Questo impatta sulle bollette, sulla qualità della vita delle persone e sui costi che le famiglie dovranno sostenere.
Milano è attrattiva, pur avendo mediamente un patrimonio immobiliare di classe energetica basso.
“Per quanto riguarda l’attrattività, Milano forse è l’unica città italiana che veramente compete a livello internazionale. E’ sufficiente osservare la demografia: è la sola che ha un tasso demografico in crescita che non è certo dato dalla natalità, ma dall’immigrazione prevalentemente nazionale di persone che vengono a lavorare o studiare qui. E se anche ci sono delle problematiche sulla qualità immobiliare, la domanda si crea per una differenza tra domanda e offerta. Si crea sia sulle case in acquisto, il cui valore cresce, sia sulle case in locazione, con affitti che sono diventati inaccessibili a molti. Milano è stata attrattiva anche per i grandi investitori istituzionali, con i grandi progetti di rigenerazione urbana, che hanno riguardato zone semicentrali. Ancora troppo poco si è visto nelle periferie. Qualcosa è partito ma non sufficiente a qualificare Milano come una città che abbia, dal punto di vista della rigenerazione urbana, raggiunto gli obiettivi che dovrebbe avere una grande città. C’è ancora tantissimo da fare in questo senso.
Al di fuori di Milano e guardando al resto dell’Italia, l’attrattività manca ed è il motivo per cui non ci sono state grandi operazioni di rigenerazione, a partire dalla Capitale. A Roma si è visto ancora pochissimo dal punto di vista dei progetti di rigenerazione. Speriamo che ora si possa ripartire, anche se al momento più nelle intenzioni che nelle realizzazioni”.
Mancano anche a Milano le abitazioni in locazione, qual è la situazione in questa Italia a geografie molto variabili?
“Partendo dalla considerazione che il modello italiano prevalente è la proprietà, non si sono sviluppate iniziative da parte di investitori di build-to-rent, quando in molti altri Paesi è una asset class molto sviluppata. Non solo in Germania, ma anche in tutta Europa ci sono investitori di lungo periodo, fondi pensione che investono sistematicamente in questa asset class che garantisce un rendimento costante nel tempo e una rischiosità bassa proprio perché risponde a una domanda di case in locazione che c’è sempre stata, ma che adesso ancora più cresce. Ed è proprio questo il tema in Italia: non avere sviluppato questa asset class fa sì che non ci sia risposta a una domanda che continua a crescere.
Perché continua a crescere la domanda di case in locazione?
Per due motivi: c’è un tema di accesso alla proprietà che non ha tutti è possibile, soprattutto per le nuove generazioni che hanno modelli lavorativi diversi dal lavoro dipendente con contratti a tempo determinato, che rende più faticoso l’accesso al mutuo. Ma c’è anche un tema di ricchezza. Sia le nuove generazioni, sia quelle ‘non più così nuove’ spesso preferiscono non avere l’onere della proprietà, che assorbe molte delle risorse disponibili, e prediligono modelli di vita con una maggiore flessibilità, anche in funzione di una maggiore mobilità. In tutte le famiglie ci sono figli che si muovono non più solo per studiare, ma considerano una necessità emigrare magari per fare esperienze di lavoro all’estero. L’idea di avere la casa come un investimento, in un contesto in cui magari la famiglia è dispersa geograficamente, non è più così vero. Di contro, cresce moltissimo la domanda di case in locazione. Non è un caso che questa enorme difficoltà di trovare case in locazione a un prezzo ragionevole sia molto seria in città come Milano, Bologna e Firenze ad esempio, che storicamente hanno poca offerta. Qui per altro la locazione breve a fini turistici ha ulteriormente peggiorato la situazione con la conseguenza che anche per la casa nelle peggiori condizioni l’affitto sia elevato”.
Questo cosa comporta?
“Scarichiamo su persone che studiano e lavorano il peso di un affitto elevato e di una bolletta elevata. Il tema di non sviluppare il build-to-rent significa anche non mettere a disposizione per la locazione case che abbiano le prestazioni che le nuove costruzioni garantiscono perché vengono costruite in classe A. Con un impatto che evidentemente è anche sociale, soprattutto ora che il costo dell’energia è molto elevato”.
Sono in corso interventi di sviluppo di student housing, co-housing, co-working. C’è una accelerazione in questo senso?
“Ci sono solo alcune prime iniziative in realtà. Al netto del fatto che poi il mercato, in maniera opportunistica, se c’è una città attrattiva come Milano trova il modo di investire, non possiamo però contare su questo. Se vogliamo che il tema venga affrontato in tutte le città, e anche a Milano nelle zone periferiche, è necessario che l’asset class diventi una vera asset class di investimento. Non qualche iniziativa sporadica di qualche investitore lungimirante, ma che veramente attrattiva per i capitali del real estate. Noi per questo abbiamo proposto misure al Governo per rendere automatico il riconoscimento che il risparmio gestito, cioè i veicoli di investimento, siano in Italia, come lo sono nel mondo, il principale veicolo di investimento nel real estate. Sino ad ora tutti i governi hanno mostrato miopia, incentivando le società di costruzioni come se ci fosse coincidenza tra chi costruisce e chi investe. Ragionare in questo modo significa essere nel secolo scorso, perché i due soggetti non coincidono. Perché l’investitore è il committente del costruttore e va favorito l’afflusso dei grandi capitali del risparmio.
E’ stata introdotta nella legge di Bilancio una norma che contiene incentivi per Oicr immobiliari.
“Questo significa non dimenticare mai, quando si fanno le norme, che non sono soggetti speculativi ma soggetti istituzionali; quindi ci deve essere un sistematico incentivo a fare affluire il risparmio gestito allo sviluppo di questa asset class. Sino ad ora non c’è stato. Qualche primo timido segnale nella finanziaria: per la prima volta si è pensato a un provvedimento per favorire l’acquisto (per ora solo questo, poi occorrerà agire anche sulla locazione) di case in classe A e B, riconoscendo su un importo pari a metà, al 50% dell’Iva un credito di imposta che vale sia per le persone fisiche, sia se ad accedervi sia una Oicr. Per la prima volta viene dunque previsto che le case in classe A o B, cedute o realizzate da Oicr fruiscano di questa importante agevolazione. Perché il 50% dell’Iva, anche se recuperato in più anni, resta un importo significativo. Per altro, va detto che è particolarmente benvenuto perché oggi chi compra casa si trova di fronte a un costo del mutuo molto più elevato. Questo incentivo, dunque, compensa in parte la situazione di mercato. Ma è un primo intervento. Il ministro Salvini ha dichiarato spesso di voler avviare un Piano Casa: occorre che si possa fare con i capitali privati che vogliono investire in Italia, perché il gap tra domanda e offerta lo vediamo noi, ma lo vedono anche gli investitori internazionali. Non si deve pensare a un Piano Casa fatto a spese del bilancio pubblico, perché abbiamo visto che ogni cosa che voglia essere risolta con il bilancio pubblico è fallimentare per definizione, Abbiamo già un debito enorme e i capitali che servono per ammodernare lo stock residenziale del Paese non sono certo nella disponibilità del settore pubblico. Occorre piuttosto la leva fiscale per attirare i capitali. Non con meccanismi del tipo ‘tu spendi 100 e io ti dò 110’, e ogni riferimento è puramente casuale. Ma con meccanismi per i quali vengono dati incentivi che agiscano da moltiplicatore.
Quale può essere il contributo di Confindustria?
Noi come Confindustria vogliamo dare contributi tecnici ben definiti, anche per fare comprendere alle istituzioni quello che si può mutuare anche da esperienze internazionali che hanno avuto successo. Il nostro ruolo, rappresentando noi importanti investitori domestici che hanno anche un importante ruolo internazionale, così come anche investitori internazionali che si sono insediati stabilmente in Italia, è dare proposte molto concrete. Abbiamo un dialogo avviato con tutti i ministeri competenti e con loro abbiamo anche chiesto di avere un tavolo congiunto perché questo Piano casa ci veda coinvolto continuativamente Rappresentando il corpo intermedio che esprime le istanze del mondo immobiliare e dobbiamo essere assolutamente coinvolti.