Per affrontare le sfide abitative contemporanee, è imperativo guardare al di là delle soluzioni convenzionali e adottare un approccio innovativo. Ciò significa non solo rivedere la catena di produzione abitativa in ogni sua fase, ma anche abbracciare la creatività per individuare soluzioni fuori dagli schemi. Ne abbiamo parlato con Franco Guidi, CEO di Lombardini22, principale studio di progettazione italiano, secondo cui l’idea di offrire un affitto a 10 euro al giorno per persona, o 600 euro al mese per coppia, potrebbe sembrare audace, ma non lo è. In realtà rappresenta una proposta concreta che richiede una revisione profonda di tutta la filiera. Questa iniziativa non solo potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze nelle città, ma anche a preservare o addirittura potenziarne l’attrattività, coinvolgendo cittadini, operatori e imprenditori in una collaborazione senza precedenti. In pieno spirito ambrosiano, l’obiettivo è trasformare Milano in una città dove l’accesso a un’abitazione dignitosa sia garantito a tutti, promuovendo allo stesso tempo la sua vivacità e attrattività.
Non è una provocazione ma una proposta concreta e fattibile a patto di rivedere tutto il processo lungo la filiera
“C’è una reale necessità perché il mercato, nella sua attuale struttura, non riesce a soddisfare tale bisogno. Se consideriamo tutti i singoli attori coinvolti nella filiera, dalle banche agli investitori, dal contributo statale all’amministrazione in termini di regolamenti, dal piano di governo del territorio agli oneri, fino a includere progettisti, manutentori, costruttori e fornitori di materiali come il cemento e le piastrelle, ognuno di essi, preso singolarmente, non mostra un grande interesse nell’uscire dalla propria zona di comfort. Ognuno ha motivazioni e ragioni molto chiare. Di conseguenza, questo tipo di sviluppo non risulta conveniente al giorno d’oggi. Anche se il Comune, per esempio, tenta di intervenire donando terreni tramite iniziative come Reinventing Cities, ciò non è sufficiente, come dimostrato dal fatto che tali bandi spesso restano sostanzialmente deserti.”
Da dove si parte?
“La nostra proposta consiste nell’istituire una nuova alleanza tra cittadini, operatori e imprenditori con l’obiettivo di analizzare attentamente l’intero processo e identificare gli interventi necessari per eliminare i costi aggiuntivi. Ad esempio, prendiamo in considerazione le pratiche delle compagnie aeree che, per offrire tariffe convenienti, ottimizzano il riempimento degli aerei e riducono i costi eliminando servizi extra come il sedile reclinabile o il vano portaoggetti. Queste strategie mirano a ridurre i costi effettivi di viaggio, trasferendo eventuali costi aggiuntivi agli utenti che li desiderano o possono permetterseli.
Un altro esempio riguarda l’approccio allo sharing. Spesso lasciamo le nostre risorse inutilizzate per lunghi periodi, generando costi di inattività. Tuttavia, se queste risorse possono essere utilizzate da altri, possiamo ridurre i costi complessivi. Un esempio interessante è l’affitto temporaneo di elettrodomestici, che consente agli utenti di usufruire del prodotto senza la necessità di acquistarlo.
Inoltre, riteniamo che i giovani siano meno interessati al possesso e più orientati all’uso condiviso delle risorse. Pertanto, proponiamo di sfruttare spazi vuoti, come gli scali ferroviari inutilizzati, per creare soluzioni temporanee e innovative. Ad esempio, potremmo convertire tali spazi in campeggi di bungalow per un decennio, sfruttando infrastrutture già esistenti.
Ho recentemente discusso con un costruttore che lamentava gli sprechi di materiali dovuti alla mancanza di mercato. Proprio come alcune organizzazioni recuperano il cibo invenduto per beneficenza, potremmo trasformare gli sprechi edilizi in risorse utili per chi ne ha bisogno.
È evidente che dobbiamo estendere ulteriormente questa filiera collaborativa per garantire che Milano rimanga una città inclusiva, affrontando così i costi sociali nascosti che potrebbero emergere in futuro. È fondamentale considerare le esigenze di una varietà di professionisti e famiglie, promuovendo la coesione sociale e rendendo la città accessibile a tutti, indipendentemente dalla loro situazione economica.”
Milano ha puntato sull’essere eccellente, deve cambiare passo per risolvere le disuguaglianze?
“Non si tratta di concetti opposti. Non esiste una Milano di successo e una Milano non di successo. Le disuguaglianze stanno aumentando e questo è un tema che non riguarda solo Milano, ma che porta inevitabilmente al disagio sociale. Milano ha sempre guardato alle grandi capitali come Parigi e Londra come punto di riferimento, anche se sotto il profilo dimensionale non possiamo essere paragonabili. Tuttavia, dal punto di vista delle aspirazioni, tutti i milanesi guardano alle grandi capitali. Questo è sempre stato così. Negli ultimi anni, a partire dall’Expo, il successo si è riflesso anche nei flussi turistici, cambiando la natura della città, ma Milano rimane una città ricca di studenti universitari e un importante centro lavorativo. I lavoratori, provenienti anche dall’estero per studio e lavoro, sono fondamentali per la nostra comunità. Milano sta diventando una metropoli di dimensioni contenute, ma estremamente attraente. Per preservare lo spirito milanese e mantenere l’attrattività della città, è essenziale che imprenditori e società civile si impegnino per reinventare la città, seguendo lo spirito generoso tipico di Milano, per il bene dell’intera comunità. Se, invece, si estrae solo valore senza reinvestirlo, la città rischia di impoverirsi.”
Come funziona l’alleanza, quali saranno i prossimi passi?
“Stiamo lavorando attivamente per diffondere l’idea attraverso una comunicazione efficace e stiamo ottenendo riscontri molto positivi. È evidente che abbiamo centrato l’obiettivo. L’organizzazione alla base di questa iniziativa si chiama Build Vision e già conta su una serie di attori della filiera che condividono gli stessi ideali. Tra questi ci sono aziende di rilievo come BTicino, Italcementi, e altre ancora. Attualmente stiamo ampliando la nostra rete.
A Vienna esiste un caso interessante rappresentato da Gleis21, una cooperativa indivisa, che ha ottenuto un finanziamento e vinto un concorso per ottenere un terreno su cui costruire una cinquantina di appartamenti. Il costo mensile dell’affitto si aggira intorno ai 600 euro. Ciò che rende questa iniziativa ancora più interessante è il coinvolgimento attivo degli inquilini nella gestione degli spazi comuni. Ogni persona dedica circa 10 ore a settimana a questa attività. A un salario minimo di 10 euro l’ora, ciascun inquilino contribuisce con due ore di lavoro settimanali, sostenendo così l’idea che il costo dell’abitare dovrebbe rappresentare solo il 25-30% del reddito. In Inghilterra, abbiamo osservato interventi di investitori privati che offrono opportunità abitative a individui che, non possedendo ancora una casa, possono accedere a sviluppi immobiliari di 38 mq a 300 mila sterline, situati vicino ai nodi di trasporto. Questo modello di sviluppo imprenditoriale si basa su regole che permettono di rivendere le proprietà solo a individui con le stesse caratteristiche. Tuttavia, resta aperto il problema della disponibilità di modalità di finanziamento adeguate e dei potenziali ostacoli legati al welfare aziendale. Alcune esperienze relative agli affitti generano solamente 1000 euro all’anno, evidenziando la necessità di trovare soluzioni più sostenibili e vantaggiose.”
Un cambiamento che parte dal basso. Operazioni simili sono più fattibili sul patrimonio esistente, oppure sul nuovo?
“Dobbiamo affrontare una serie di situazioni diverse. Attualmente, ci sono uffici degli anni ’70 che probabilmente usciranno dal mercato in quanto non più interessanti e potrebbero essere oggetto di riconversione. Sarà necessario intervenire sulle normative urbanistiche poiché questi edifici hanno caratteristiche diverse rispetto alle abitazioni tradizionali. È fondamentale anche adottare un approccio creativo. Tuttavia, quando c’è volontà politica ed energia, nulla è impossibile. Spesso, ciò che sembra insormontabile può essere realizzato con successo. Potrebbe essere necessaria una deregulation mirata e orientata verso obiettivi specifici. È essenziale individuare le problematiche che generano costi e affermare chiaramente che non desideriamo soluzioni che prevedano proprietà di dimensioni ridotte, prive di balconi. Tuttavia, è importante considerare che in determinate fasi della vita o in situazioni di emergenza, ci si può adattare anche a spazi più limitati. È noto che i giovani sono spesso capaci di convivere in spazi ristretti. La realtà supera spesso le nostre aspettative, pertanto è fondamentale concentrarsi sia sulla rigenerazione urbana sia sulla creazione di nuove soluzioni abitative, anche temporanee. Spesso diamo per scontato che le nostre idee siano applicabili solo in determinati contesti, come nel caso dei progetti di costruzione o di ristrutturazione, ma non dedichiamo altrettanta creatività e attenzione alle emergenze abitative.”
State lavorando a interventi, o sono in programma, sul patrimonio della Chiesa o militare per esempio?
“Attualmente, il mondo ecclesiastico si sta interrogando sul concetto di patrimonio e su ciò che viene definito ‘il carisma’. In molti casi, il carisma originario che ha portato alla creazione di questi beni immobili non riveste più lo stesso significato in Italia, mentre potrebbe essere ancora rilevante in paesi in via di sviluppo. Numerosi ordini religiosi in Italia hanno visto una diminuzione dei propri membri, ma sono attivi e impegnati dove c’è bisogno, mentre il loro patrimonio rimane qui. È quindi interessante considerare la possibilità di avviare un dialogo con il mondo ecclesiastico al fine di creare un nuovo carisma, in cui il tema dell’emergenza abitativa potrebbe svolgere un ruolo significativo. Alternativamente, si potrebbe valutare la possibilità di valorizzare il patrimonio ecclesiastico per finanziare progetti volti a soddisfare i bisogni là dove si manifestano.”