Accelerazione del Pnrr e ritorno del potere d’acquisto delle famiglie. Questi i due fattori chiave che Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, indica come necessari per la crescita dell’Italia, all’interno di un contesto internazionale complesso. Intervenendo alla 32esima edizione del Forum di Scenari Immobiliari a Rapallo, De Felice evidenzia appunto che “gli scenari sono complessi, ma si tratta di una complessità prevalentemente di natura geopolitica. Per il 2025 e per l’anno successivo, ci attendiamo andamenti divergenti: chi oggi sta rallentando la crescita è soprattutto il settore manifatturiero, che risente di più dei cambiamenti del processo di globalizzazione. Quest’ultima non sparisce, ma tenderà a modificarsi. Se dovesse vincere Donald Trump alle presidenziali americane” si dovrà fare i conti con “il tema dei dazi, del rallentamento del commercio internazionale, una variabile che manca come sostenitrice della crescita. La Cina cerca comunque di dialogare con tutti, la Russia è più isolata, molti paesi aiutano di nascosto la Russia importando petrolio e vendendolo agli altri”.
IL RUOLO DELLE BANCHE CENTRALI
Per quanto riguarda gli obiettivi delle banche centrali, “stanno per essere raggiunti” assicura. “La banca centrale deve gradualmente iniziare ad abbassare i tassi di interesse: la Bce lo ha fatto, la Fed procederà la prossima settimana”. Invece, “le politiche fiscali ci offrono meno spazio. La dinamica del commercio internazionale resta debole. Permane un quadro debole soprattutto per i paesi avanzati. Ma questo può riprendersi molto se pensiamo ai futuri megatrend”.
“RIPRESA MODERATA, IN USA NON CI SARA’ RECESSIONE”
Siamo dunque di fronte a una “‘ripresina’, moderata, non più ai livelli di crescita del 4- 4,4% cui si assisteva prima della pandemia. In Usa si intensificano i segnali di rallentamento. Ma sarà un atterraggio morbido. Non ci sarà una recessione negli Usa. La crescita ci sarà a tassi più bassi. Il mercato del lavoro è ancora vivace”, nota l’economista. Un trend, dunque, “deflazionistico per gli Usa”. Di conseguenza, “le decisioni della Fed saranno finalmente per una riduzione dei tassi. La nostra previsione è che da qui alla fine dell’anno ci possano essere due o tre ribassi e poi, nel 2025, altri 100 punti. Vuole dire 175 in totale. Ci stiamo dunque avviando alla normalità, con un tasso di inflazione che torna al 2%”
“NELL’EUROZONA SERVE UN CAMBIO DI PASSO”
Nell’eurozona, “manca un cambio di passo. C’è una tenuta della crescita, il Pil è rallentato leggermente nel secondo trimestre e quello in corso non è brillantissimo. Le cose potranno andare meglio nel 2025. Il grande malato d’Europa è la Germania che non si sa quando si riprenderà. Richiede scelte drastiche e decisioni importanti, come chiudere alcune fabbriche (leggi Volkswagen con i suoi 300mila dipendenti), dove la Germania non è più competitiva”. Insomma, “grandi sfide” da qui in avanti attendono l’Europa. “Si può discutere sulla necessità di 800 miliardi di euro indicata da Mario Draghi. Potrebbe essere un po’ meno, ma con Francia e Germania deboli politicamente, mancano le basi perché l’Europa possa giocare d’attacco”.
“L’industria non va bene. Tengono i servizi e i consumi. La Bce – evidenzia De Felice – ha avuto successo nel contrastare l’inflazione, nel proteggere i risparmi senza provocare una recessione. Non era banale”. A proposito della Banca centrale europea e del taglio dei tassi, “ne abbiamo avuto uno a giugno e uno lo scorso giovedì. La nostra previsione è che” l’Eurotower “si prenda una pausa a ottobre. Il prossimo a dicembre arriveremo a un taglio complessivo di 75 punti base e auspicabilmente nel 2025 ce ne saranno altri, ma non scommetterei più di tanto sull’entità. La previsione è di 75-100 bp, ma dipenderà dall’andamento anche dei profitti. Se i profitti delle imprese tengono, queste ultime sono in grado di assorbire gli incrementi salariali, questa, almeno, è l’idea della Bce. Viceversa, le imprese stesse genereranno inflazione. Una tesi che non ha grande seguito tra gli economisti, ma è stata ampiamente spiegata dalla Bce”.
“IN ITALIA STA CAMBIANDO LA DINAMICA DEGLI INVESTIMENTI”
Per quanto riguarda l’Italia, “la crescita dal 2010 al 2019 è stata un disastro: cumulata, ha raggiunto solamente l’1,1% (area euro +12,6%). La previsione per la fine dell’anno in corso è del +6% (cumulata); per la Germania +2,1, per la Francia +4,4%. “Possiamo dire che in Italia qualcosa sta cambiando, ma ancora non è cambiato. Non possiamo accontentarci” avverte De Felice, che sottolinea: “sta cambiando la dinamica degli investimenti. Dal 2016 al 2023 +35,7% gli investimenti in Italia”. Cosa è successo? Il capo economista di Intesa Sanpaolo indica “due grandi incentivi: Industria 4.0 nel 2016 e i bonus legati al mercato edilizio”. Industria 4.0 è stata “meno impegnativa per le casse dello Stato, ma lascia un segno di più lungo periodo. Il Superbonus ha effetti più limitati, ha risolto molti problemi del settore immobiliare italiano, ma l’impatto è di una crescita che dura poco tempo, non produce effetti di medio e lungo periodo ed è molto costosa. In ogni caso, l’Italia oggi è molto competitiva sui mercati esteri, siamo l’unico paese avanzato che non ha perso quote di mercato”.
“ACCELERARE LA SPESA DI PNRR, DENARO DEVE ENTRARE NEL CICLO ECONOMICO”
In definitiva, “non possiamo dire che abbiamo svoltato, ma abbiamo elementi incoraggianti per andare avanti in questa fase di ripresa. Un elemento chiave è riuscire ad accelerare le riforme e la spesa del PNRR. Abbiamo ricevuto circa il 60% delle risorse disponibili per l’Italia, ma la spesa effettivamente realizzata è pari ad appena il 26%. Permangono i ritardi: il governo sottolinea di avere assegnato l’85% dei fondi. Le procedure sono avviate e pure le gare ma i quattrini non sono ancora entrati nel sistema economico e questo – chiosa – può fare la differenza”. Per l’Italia, la cui stima di crescita del Pil dello 0,7% per l’anno in corso “può essere molto prudenziale (+1,2% per il prossimo anno), i fattori di crescita sono da un lato l’accelerazione del Pnrr e dall’altro il ritorno del potere d’acquisto delle famiglie”, conclude.